L' EQUIVOCO NOBILIARE ( identità , ricognizione , universalità )

 

di  Sergio de Mitri Valier

 

 La nobiltà è un fatto

  -reale

 -valido

 -trasmissibile

  

Da alcuni anni è emersa una scuola di pensiero la quale presume una netta separazione tra la piena validità legale della nobiltà, riconosciuta da autorità di stato attraverso le proprie legislazioni nobiliari, ed una nobiltà tradizionale, di consuetudine o cortesia, reputata priva di valore.

 

Esasperando al massimo questo concetto e considerando ormai defunti gli ultimi iscritti al Libro d' Oro della Nobiltà Italiana  ( 1896 ), custodita presso l' Archivio Centrale di Stato di Roma, non potendo, d'altronde prendere in considerazione postumi elenchi "provvisori ", si potrebbe parlare solo discendenti di famiglie nobili,", perché se gli iscritti negli Elenchi ufficiali nobiliari italiani (1922-1933 e supl. 1934-36)  non avessero presentato la documentazione per l’iscrizione nel Libro d’oro , dopo un certo lasso si tempo , sarebbero stati cancellati ( come avvenne quando nell’Elenco del 1933 scomparvero molte famiglie non estinte elencate in quello del 1922 ).
Il riconoscimento dello "status" nobiliare concesso, più o meno storicamente, ad Italiani da parte del Sacro Romano Impero , dallo Stato della Chiesa , dalla Repubblica di San Marino fu , da parte del Regno d'Italia , oggetto di accese discussioni e successivo risultato spesso positivo, in forza di  gravosi Decreti Reali di Riconoscimento  o semplici  Decreti Reali di Conferma ( LL:1871 / 1924).

Fatto sta che, in tutti i Paesi dove la nobiltà non sia tutelata o addirittura proibita ( provvedimento ultra vires ), ogni dignità e titolo nobiliare del mondo occidentale va considerato vera e propria eredità immateriale, la continuità temporale della nobiltà ai giorno d'oggi non è quindi messa in dubbio. Tanto è vero che lo S.M.O.M. Ordine Sovrano, accetta nelle proprie categorie nobiliari cavalieri appartenenti a Paesi dove la nobiltà è tutelata ed altri da Paesi dove essa non solo non è più riconosciuta , ma talvolta addirittura proibita, ciò a riprova che la nobiltà ( comunque sia considerata dalle autorità nazionali ) si trasmette ininterrottamente nelle generazioni.

 

L'unico atteggiamento onesto e pragmatico con il quale porsi di fronte a questa realtà ( perché di una realtà sto scrivendo ) è considerare oggi , Italia su uno medesimo piano tutta la nobiltà , sia quella approvata dalla Consulta Araldica, sia quella che per vari motivi non ricevette il regio avvallo:

 nobiltà immemoriale , degli antichi Stati , preunitaria della quale non vi furono richieste o ci fu reciproca indifferenza, rifiuto oppure non furono perfezionate le prove documentarie, spesso perché ritenute superflue , se non , addirittura ... offensive.

 

Non è mai esistita una sola nobiltà , ma più nobiltà. Perché dovremmo considerare sullo stesso piano realtà sociali di diversa origine e con caratteristiche originarie non sempre sovrapponibili , nonostante siano sostenuti dai medesimi miti e si manifestino attraverso gli stessi rituali di ceto?
Perché quello che ho chiamato " l'equivoco nobiliare " è così rappresentato:

 

* La  nobiltà che fu "legalmente" riconosciuta e tutelata . 

 

* La  nobiltà la quale non fu legalmente riconosciuta , quindi “di consuetudine” o“cortesia”

 

per lo Stato Italiano pari sono: fonte di totale disinteresse , entrambe non tutelate minimamente dal punto di vista giuridico.

 

Alla luce di questo corollario, ogni classificazione è del tutto arbitraria, ciò che tutela la nobiltà non è la giurisprudenza dello stato nazionale o meglio ciò che potremmo desumere dalla ( delegittimata ) giurisprudenza nobiliare di un Regno durato solo un'ottantina d'anni, ma occorre risalire a monte,  gli jus accreditati sono il diritto naturale e quello internazionale.

 

Considerando la “nobiltà” nel senso tradizionale ed occidentale del termine, cioè come pubblico riconoscimento ( spesso, ma non necessariamente , da un potere sovrano ) che si attesta a coloro ( singoli o molto più spesso a famiglie ) si siano distinte per particolari virtù generosamente spese per l’affermazione di alti ideali, per il bene del prossimo e del suo progresso, per l’illustrazione della Patria entro e fuori dai suoi confini, per l'impegno dei propri membri nella responsabilità di governo, ogni forma di “nobiltà di storico fondamento” ha un grande valore, se non altro come sprone ed esempio per le future generazioni.

 

L'eredità morale e storica , tramandata ha piena validità con o senza avvallo pubblico e legale tutela, oggi come ieri.

Essa, attraverso i secoli, ha incontranto e spesso si è scontrata con rivolgimenti e sconvolgimenti ideologici e politici, i membri delle famiglie che hanno vissuto da protagoniste la Storia non hanno  certo bisogno di chiedere diritto di cittadinanza .

 

Pur in altre forme e con altre caratteristiche politiche, nulla chiedendo e nulla concedendo, vivono il presente, salde nel passato e certamente proiettate nel futuro.

 

E' indubbiamente in atto il tentativo di negare, delegittimare oppure irridere qualsiasi contemporanea presenza a ciò che ci ostiniamo a definire “Nobiltà” ed alle organizzazioni di antica origine che , per osmosi, ne hanno assunto le caratteristiche che le rendono ed uniche, mi riferisco ai ragguardevoli , religiosi Ordini Cavallereschi.

 

Precedentemente ho accennato ad un punto fermo :

 

NOBILTA' E IDENTITA'

 

La nobiltà ( di storico fondamento ) è una realtà e per trattare l'argomento cito la Costituzione repubblicana .
La Repubblica nella sua legge fondamentale all'art. 2 dice:
"La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale."

 

La nobiltà è una formazione sociale, una delle più antiche ed organizzate, è un fatto reale innegabile , identificabile, quindi la giurisprudenza può agire nei confronti di essa in quattro modi :

 

proibirla ( ma sarebbe un abuso di potere ),

 

regolamentarla,

 

riconoscerla,

 

ignorarla .

 

Il nostro Paese ha scelto la soluzione dell'indifferenza, non l'ha voluta abolire , bensì nella XIV disposizione transitoria le ha negato rilevanza giuridica , tuttavia il fatto che la disposizione sia transitoria apre , addirittura uno spiraglio ad un improbabile riconoscimento postumo.
Qui ci accostiamo ad un successivo passaggio:

 

 

NOBILTA' E RICOGNIZIONE

 

Se il primo passo nei confronti di una fatto è consideralo reale , il secondo è considerarlo ( riconoscerlo ) valido.

 

La domanda : “ Ma tu sei un vero nobile ? ” può suscitare un' infinità di risposte a seconda dell'interlocutore. Rivolgendosi da un Prefetto , ad un giornalista, al vicino di casa , ad un bambino , ad un notabile di un Ordine Cavalleresco , le risposte sarebbero ovviamente diverse , perché il riconoscimento è un atto unilaterale e la percezione del validità è soggettiva a seconda dei singoli o dei gruppi di persone.

 

Quando tratto dell'argomento amo fare il confronto con l'istituto matrimoniale : la validità muta a seconda di colui che l'accetta come tale oppure lo rifiuta, ovvero il matrimonio religioso , quello civile , quello concordatario subiscono diversa percezione pur essendo          “ fatti” reali, a seconda della persona o del gruppo che formula un giudizio.

 

Il concetto di validità di uno status nobiliare è soggettivo , per questo motivo osservo sempre con grande sospetto classificazioni e certezze su una materia concretissima eppur allo stesso tempo molto vaga.
I criteri che prediamo in esame quale paradigmi dimostrano tutto ed il contrario di tutto .
Gli aspiranti Cavalieri ai gradi nobili di Giustizia e di Jure Sanguinis del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio possono presentare, quali prove del loro stato nobiliare, i diplomi del Sovrano Militare Ordine di Malta per i gradi di Onore e Devozione o di Grazia e Devozione oppure i diplomi di ammissione agli Ordini di Santiago, di Calatrava e di Alcántara per Giustizia ed all'Ordine di Montesa per Jure Sanguinis.
Una dignità alto-medioevale attribuita ad una famiglia veneziana sembrerebbe aver poco a spartire con un titolo nobiliare attribuito negli anni Trenta per meriti bellici ad un generale pugliese. Un nobile di una Repubblica aristocratica era costretto e spinto dalla propria autorità nobiliare a darsi un titolo feudale per vantare un riconoscimento sociale all'estero. Durante il Regno d'Italia titoli d'uso venivano riportati dagli impiegati di Stato Civile e risultavano tali negli atti ufficiali.

 

Affermare che solo coloro i quali poggiano la propria nobiltà familiare su un riconoscimento di uno Stato che contempli una giurisprudenza nobiliare e garantisca quindi piena validità è priva di fondamento:

 

Un sigillo ed una firma possono certificare ( brevettare ) un provvedimento di Grazia, ovvero una nobilitazione o conferimento di un titolo oppure confermare, registrare qualcosa che già esiste , il che rappresenterebbe un provvedimento di Giustizia, ma per riconoscere , registrare, confermare, attestare qualcosa occorre in ogni caso che questo “ qualcosa ” esista da prima, non  certo come usurpazione o truffa ma come una qualità eminente pacificamente riconosciuta e tramandata da tempo da parte delle famiglie che appartengono allo stesso ceto e da parte del popolo .

 

L'eterno dilemma dell'uovo e della gallina . E' nata prima la nobiltà o l'autorità legalmente deputata a validarla?

 

Oggi in Italia, siamo agevolati, possiamo evitare queste forme di autolesionismo :

 

Tutte le realtà riconducibili alla nobiltà possiedono pari (e nullo ) riconoscimento da parte dello Stato , l'autorità che era deputata a validare la condizione di nobile ha emanato leggi nobiliari dichiarate incostituzionali, perché quindi classificare qualcosa di attualmente e legalmente inclassificabile per attribuirne un valore statuale pari a zero?

 

 

NOBILTA' E UNIVERSALITA'

 

L'unica forma di riconoscimento nobiliare oggi in atto in Italia è quello ottenuto dall'accoglienza in determinati ambiti esclusivi ( letteralmente : "che escludono" gli estranei ):
ordini cavallereschi tradizionalmente nobiliari , circoli , famiglie ed associazioni , dove la nobiltà familiare sia accettata per osmosi.
Nei corso dei secoli gli aristocratici non viaggiavano per l' Europa portando con sé regie patenti, elenchi nobiliari , né possedevano particolari credenziali , essi venivano riconosciti dal loro distinto stile di vita e le qualità che erano proprie:
Similes cum similibus congregantur.
 Negli ultimi dieci secoli sono emersi e si sono radicati una serie di principi e valori , in realtà , già presenti agli albori della civiltà occidentale:
Serietà, servizio, dignità , coraggio , rispetto della parola data, signorilità e sobrietà.
 
Delle primarie caratteristiche comuni , eliminata l'ideologia , ovvero programma comune per l'esercizio e le manifestazioni del proprio ruolo dominante , non possiamo che concordare con Chojnacki che i fattori universali in grado di distinguere la nobiltà sono:
l'identità collettiva
( un senso di appartenenza consapevole e saldamente riconosciuto),
l'identità culturale
( sistema comune di principi e di pratiche caratterizzante la distinzione del suo comportamento sociale ).
 
Secondo lo studioso, a Venezia fino al XIV° Secolo, la nobiltà aveva una duplice valenza: giuridico- funzionale e storico-culturale, le quali si fusero con la cosiddetta“seconda serrata” del Maggior Consiglio.
In modo paradossale, cinquecento anni dopo si è verificato un fenomeno opposto , ovvero, tramontata la valenza giuridico-funzionale della nobiltà rimane pienamente valida quella storico-culturale.  
 

 

 

 

 

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Commenti: 2
  • #1

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